IL CAPPOTTO A MANICHE CORTE tragedia di uno stilista effeminato in Algeria

Algeria, 1954. Ibrahim Rosa Walhid ha già 24 anni, da sei mesi è tornato da Parigi dove è riuscito a coronare il suo sogno: diventare uno stilista.
Nella capitale francese ha vinto il premio “merdè gnè gnè” per il miglior cappotto a maniche corte dell'anno, ha trovato la somma per avviare una propria linea in Algeria ed ha anche trovato un modo per esportare la sua creazione in America: Yosla, un tubista ebreo polacco di origine yemenita che conosce l'inglese.
L'Algeria dei primi anni cinquanta è un universo pieno di contraddizioni e povertà, la strenua lotta per l'indipendenza dalla Francia porta ad un feroce odio verso l'occidente corrotto e demoniaco, la vita non è di certo facile per un giovine che sin dai primi anni di scuola è noto
 come “la frocetta rachitica” o “penoso sodomita”. L'Algeria dei primi anni cinquanta è anche un luogo tempestato dal sole dove il cappotto a maniche corte è per il Corano “la veste del demonio” ed è peccato gravissimo indossarlo. In Francia il dilemma per Ibrahim era la scelta tra il sacrificio dello stile o del comfort, nella sua terra è tra la ribellione o la morte, l'innovazione o la tradizione, tra un piatto di masfouf e un giovinetto imberbe. La fatidica mattina del 1 Novembre 1954 uscirà di casa vestito di rosa con un enorme tubo d'acciaio a tracolla ed un forbicina per unghie in mano verso la folla che in piazza sta dando vita alla guerra d'indipendenza algerina, mentre qualcuno, sottovoce, vomita sullo sfondo.

"il romanzo più bello che abbia mai letto" Lilly Posteeberg
"forse il capolavoro di questo secolo" Santoro Bonfenbrenner
"madonna mia" Elio Poltergheist

IL CAPPOTTO A MANICHE CORTE
ALSO AGRAFHAT IBN AHWAHL
alhagjkjhad editore
365 pag. 23.00€

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