ELZEVIRI



1 GLI OCCHIALI DI ERODOTO
di Arcadio Zauberflote

Una decisione sofferta: scrivere o no un elzeviro per un blog, che per quanto premiato, ancora sconosciuto?
Non avrei voluto.
Stamane una telefonata di Umberto Eco, e dopo due ore, una inaspettata visita mi hanno fatto cambiare idea.
Da due settimane ero in piedi ad osservare l'ombra dei miei occhiali poggiati sul lavandino bianco sotto le luci dello specchio, a chiedermi perché quell'ombra fosse così ontologicamente accattivante, perché la religiosa ovvietà di quella proiezione mi impedisse di muovermi, perché la mancanza di un qualsiasi “odore di occhiali” mi desse la sicurezza di esistere in un sistema regolato dal principio dell'ovvietà cutanea, e mi chiedevo se davvero la “teoria dell'osmosi socio esistenziale” di Lanfranco Bragagnolla dipendesse solo dalla presenza , o meno, delle buste paga (e quindi dall'auto riconoscimento come essere senziente-comprante) nella vita dell'individuo.
All'improvviso fui piacevolmente riportato ad un normale stato di veglia dalle note di “the final countdown”, la suoneria del mio cellulare. (l'ovvietà dell'ovvio che mi salva, pensai)
Era Umberto Eco.
Era a New York e volle capricciosamente parlarmi in tedesco, solo poche parole, mi disse
-non avere paura, pensaci, ogni novità ha in sé germe del passato, è nell'ontogenesi delle cose-
Passarono un paio di lunghissime ore, ero ancora in piedi e pensavo ad Eco che porta i miei occhiali travestito da Erodoto quando un fragore spaventoso mi convinse a muovermi. Era curiosamente esplosa la portafinestra che dalla cucina conduce al mio terrazzo pieno di Liliaceae selvatiche,
ma più che la paura mi vinse la curiosità, chi era quel paracadutista per terra pieno di frammenti di vetro, sorridente, con in mano un pacco postale?
Non mi dilungherò sui particolari, era il pronipote di quel misconosciuto eroe che fu Louis Zamperini che mi portava per mano di Eco un libro appena stampato, uno di quei libri che nessuno vorrebbe scrivere ma che qualcuno, chissà perché, alla fine scrive.
Uno di quei libri che vanno prima scoperti per amor di noia, magari portati con se nella stiva di una nave per un viaggio di sola andata in Africa, o in tram, e che poi, all'improvviso, eiaculano nella loro inutile utilità.
La lettura di quel libro portatomi in dono, un testo dei fratelli Gillo Testrori e Duilio Spragrea, “L'impianto narrativo nelle lettere di richiamo delle aziende di congelamento del pesce”, edito da Frustrante, prima mi aprì la mente e poi me la socchiuse lasciando per sempre aperto uno spiraglio.
Spiraglio su cosa?
Heidelberger lo chiamerebbe forse “un carnoso niente che prende forma”, uno strutturalista di Ginevra potrebbe definirlo “uno scalino tre le funzioni”, io lo chiamerei “un carnoso niente che prende forma su uno scalino tra le funzioni”.
Una nuova novità, ecco cos'era e cosa possono essere alcuni libri.
Quindi cambiai idea e decisi che avrei scritto io il primo elzeviro vuoto su ALMANACCUM.

Arcadio Zauberflote





2 IL PLATEAU FA SCHIFO 
un ricordo di Ninny Jericho Marasigan 
di Alyo Kawasakiy 


George Simmel ha magistralmente scritto che la moda per esistere nell'attuale società ha bisogno di due fondamentali requisiti; il bisogno di conformità ed il bisogno di distinguersi dal conforme.
Ed è proprio questo contraddittorio tra due bisogni che porta il giovine omosessuale di provincia a spingersi nelle grandi città nel tentativo di dar sfogo alle proprie pulsioni creativo-sessuali, ad aderire ad una ferrea regola estetico-comportamentale e a sublimare pubblicamente le proprie tensioni sull'ultima e più comunicante estensione del proprio io, la Figura esterna.
Simmel, dopo un buon pasto a base di dug gruzia kascher con cozze, basava la sua analisi delle palafitte della moda sullo scarto esistente tra gli strascichi della vecchia società primitiva (dove l'impulso a conformarsi ai principi e alle tradizioni è assolutamente superiore a quello del differenziarsi) e la società civilizzata dove la coesistenza di diversi gruppi sociali porta automaticamente al desiderio di differenziarsi, ma George Simmell scrisse “La Moda”
nel 1895, non ebbe modo di conoscere le teorie antroposociologiche di Ninny Jericho Marasigan. 

Ninny Jericho Marasigan a Baltimora, Maryland
L'immenso studioso filippino ( da 13 anni in carcere per omocidio) analizza l'attuale società dei consumi evidenziandone la scarsa qualità produttiva ed il dominio della “Sacra Breve Durata” (assieme all' asparatame è componenete obbligatoria per un velocissimo reintegro della domanda nel mercato).
L'equazione è facile: V+b = f, velocità di produzione più brevità di durata uguale fragilità.
La funzione temporale dei prodotti fisici e culturali, delle abitudini, dei rapporti e delle cerniere degli indumenti cinesi, ha poco mordente sul tempo, ed  è il nuovo golem onnivoro che non vuole nemmeno venire da lontano perché anche il suo tempo non ha estensione.
Tutto si compone di funzioni interne che reggeranno per poco l'involucro nuovo dell'idea-prodotto.
L'uomo attuale per Marasing vive oramai troppo intensamente la lacerante vacuità delle “nuove e fragili cose”, e il nuovo horror vacui si mostra oramai consapevolmente sotto forma di bisogno di riempire gli armadi di indumenti nuovi, gli intestini di pasta di zucchero, le mani di cellulari, le labbra di silicone ma soprattutto le suole delle scarpe con orribili plateau.
Questo è il tema principale della lotta di Marasing contro i tristi dettami dell' establishment culturale, il plateau. La falsa gloria di un'altezza nuova e il falso slancio gotico verso l'alto sono simbolici di una rinuncia a “questo e quotidiano” livello di esistenza per il raggiungimento di un livello altro, nulla di male, ma è la via che è sbagliata, Marasing, riprendendo Mimmo Bonafede, auspicava un ritorno alla scarpa ortopedica truccata o a certe metodologie tardomedioevali di allungamento osseo, ma non il plateau.
La patetica incertezza della deambulazione del 98,6% delle donne che portano scarpe con il plateau,
l' innaturalezza dei loro movimenti, le ben note patetiche scene di donne che cambiano le scarpe dopo una cerimonia, insomma l'impossibilità di usare quelle scarpe assolutamente disumanizzanti anche per modelle di professione, sono il più chiaro sintomo della volgare naz-sottomissione della donna alle pratiche dell'apparire
.” Per il sociologo filippino è il nuovo nazismo della moda.
Nazismo che Ninny Jericho Marasigan credette di affrontare e risolvere la mattina del 13 novembre del 2000, quando entrò in un noto locale di Bonn frequentato da stilisti e modelle ed esplose 2 colpi di pistola uccidendo prima un cameriere ed un cammello con i mocassini andato in Germania in cerca di fortuna, e subito dopo 9 grandi firme della moda e 2 modelle gridando in filippino

i plateau fanno schifo


Alyo Kawasakiy


3 LA GENTE è HORRENDA?
La sociologia deviante delle fosse. 


Ippolito Giusy Faurvier


Perché la gente che si incontra sui tram è piena di viscere? Perchè l'idea del sudore altrui non è confortante? Perché un uomo colto da forte tristezza come Durkheim alla fine non morì suicida? E' giusto parlare di "volontà d'omicidio giustificato" se una ragazza bionda e brutta viene soppressa per il solo fatto di essere una borseggiatrice? Che ora è?
C'era una branca poco conosciuta della sociologia delle devianze che nel 1978 avrebbe potuto rispondere a queste e altre domande.
Il suo primo teorico, Erzilio Frehensztain nel 1958 la chiamò semplicemente “sociologia della negazione poco convinta per domande dolorose”, ma fu il suo dogsitter Pierr Kuparnayaskjija a

devastarne i presupposti e riproporla a fine anni settanta indirizzandola verso il filone melanconico-esistenzialista (venuto fuori dall' undergraound degli atenei di Francoforte), e a darle fama.
Pierr Kuparnayaskjija durante una
 premiazione
a Santa Ninfa TP Italia
Fino al 1980 furono tante le pubblicazioni ed i convegni, sembrava che la nuova sociologia deviante delle fosse, così battezzata dai suoi estimatori, potesse rispondere a tutte le domande sulla bruttura esistenziale, sulla penosità dell'esistenza e soprattutto sul senso di horrido che “l'altro” suscitava già dalla fine degli anni cinquanta.Laltro fa schifo” di Kuparnayaskjija divenne presto il manifesto del nuovo approccio sociologico tedesco, la nuova idea dell'altro (di matrice ottocentesca) è quella paradossale di uno “specchium non imparzialis”, snodo cocente di proiezioni riconoscitive, dove il referente principale, lo sconosciuto, è vissuto fisicamente come ri-proiezione di se stesso, e riprendendo Mead-Krawskosky (1928) ed il concetto che l'azione significativa di un organismo sorge come reazione psico-immagino-olfattiva all'azione di un' altro organismo, Kuparnayaskjija teorizza che la percezione della presenza di viscere interne all'essere umano porti alla consapevolezza delle feci, e quindi a repellerne il portatore.
Allo stesso tempo nel saggio “KakkaFreud” pone le basi dell'ambiguità (irrisolta) della sua stessa teoria, accondiscendendo alla teoria freudiana secondo la quale il controllo e l'espulsione dei prodotti del proprio corpo costituiscono uno strumento di regolazione delle relazioni con l’ambiente circostante, ma ponendo l'accento sulla forma di riconoscimento contrastante dell'intestino-altro secondo la legge del “non c'è spazio sociale riconosciuto per più di due entità defecanti” di Brusseau-Fourlou (1918), da cui la ormai nota cotraddizione Kuparnayaskkjijsnca.
Ad ogni modo l'assunto principale che se ne tira fuori da qualsiasi approccio teorico è sempre lo stesso: “l'altro fa schifo, ma io sono l'altro”, (facile evincere la posizione negazionista rispetto all'omicidio, pratica giustificata invece dalla vecchia “sociologia della negazione poco convinta per domande dolorose”). La dicotomia teorizzata dallo studioso non portò mai a nessuna soluzione, motivo per il quale Kuparnayaskjija nel 1979 brevettò le sue teorie, ne registrò il marchio e lo vendette ad una nota azienda di bibite del Colorado che ne detiene la patria potestà e i diritti d'autore, ragion per cui non è più possibile dal 1980 in poi (previa autorizzazione di un ignoto notaio del Colorado) asserire che la gente fa schifo.

Ippolito Giusy Faurvier




4 SI FA PRESTO A DIRE KRISHNAMURTI

di Arcadio Zauberflote


Non è facile essere vivi. Quando non sono al telefono con Umberto Eco o non piango difronte la mia finestra, sono nelle librerie ad orinare negli angoli, a cercare libri invenduti perché troppo interessanti, oppure a spiare da dietro le pile di Dan Brawn o Fabio Volo le richieste della gente mentre il mio grammofono portatile suona Franco Battiato. 
Noto sovente le donne, spesso casalinghe, maestose maestre decrepite in pensione o donne pseudo colte che frugano in tasca o nella borsa in cerca di bigliettini dove probabilmente hanno appuntato velocemente al telefono un libro consigliato da qualche amica che insegna yoga nel portabagagli di un suv, o da qualche parente che regolarmente frequenta uno psicoterapeuta ebreo che in gran segreto si masturba travestito da macellaio. Ed è sconfortante notare come si accingano con passo glorioso a sostare difronte il settore di medicina alternativa in cerca di testi sul lifting, o al settore esoterismo a cercare qualcosa sulla guarigione per mezzo degli angeli, ed è parimenti sconfortante notare quanto spazio vomiti ogni giorno la mobilia che contiene le filosofie orientali riempiendosi sempre più di testi, ma senza che aumenti la presenza di autori come Peppe Tucci, (il quale ebbe l'onore di rannicchiarsi a defecare dietro un altura in Tibet quasi dieci anni prima di Fosco Maraini), o Daisetsu Teitaro Suzuki, o ancora Trangusto Muscarnera, il filosofo muto che non andò mai in oriente, ma in realtà... qualsiasi cosa è sconfortante. 
il giardinetto zen di Arcadio Zauberflote
La cultura del new age, oramai forse l'aggregato socio esistenziale più grande di tutto l'occidente, ci sta schiacciando.
Ma in fondo nulla di nuovo, già quarantasei anni fa Quentin Criscimanni studiando gli effetti del rum sulle formiche si accorse di alcuni particolari comportamenti standard di massa e teorizzò la “perdita dell'identità etnica a sfondo convulso”.
La meccanica era semplice: quando un agente esterno (il rum per Criscimanni, la noia nel caso dell'attuale occidente) debilita la coscienza “etnico-sadducea” (per dirla alla Kjiuopsdhthiunpl) scatta autonomamente un meccanismo che abbassa le difese intellettuali e abbraccia tutto ciò che di più patetico e potenzialmente alla moda c'è nel campo sociale.
L'innesto esistenziale di una conoscenza più antica, di una sorta di “abbraccium maternum ” amplificato dalla percezione del “vecchio come buono ma non quando si tratta di parenti stretti” come recita la formula di Brasecchi-Caspalli (1934), ha da sempre facilitato l'apertura verso culture altre ed in special modo quella antica orientale.
Furono studiosi e/o viaggiatori dei secoli passati ad aprire la strada a quel processo degenerativo di “errore/
facile identificazione” con l'oriente che non ha più avuto fine, ma chi in particolare? Quale di quei viaggiatori ?
Le intricate verità del passato difficilmente oramai potranno essere svelate e a nulla è servito il mio personale contributo quando nel 1998 portai davanti la corte di Catania il mercante fiorentino del XVI secolo Filippo Sassetti, a parere mio, reo di eccessiva leggerezza nel millantare con troppa facilità talune similitudini tra il latino e il sanscrito; ma il danno ormai era fatto.
Tra sette e ottocento esplodeva il “rinascimento orientale”, alcuni filosofi come Schopenauer ne amplificarono la portata citando a man bassa Veda, Upanishad e tasti sacri indiani probabilmente inventati al puro scopo di poter ampliare la cerchia di amici sui social network di carta dell'epoca.
Ormai la coscienza collettiva era pronta, Helena Petrovna Blavatsky a fine ottocento oltre a fondare la Società Teosofica intratterrà rapporti con degli spiriti-guida e maestri occulti, ad oggi non ancora identificati, che la estrarranno da una fossa comune durante la battaglia garibaldina di Monterotondo, le sveleranno le verità più segrete e, sembrerebbe, alcune ricette per cuocere la pecora in crosta. Ma di tutto questo non rimane testimonianza, solo misteri... è l'insondabile che fa gola, o
 meglio, il " mistero dell' inconoscenzacome ebbe a teorizzare Harnald Packcenter Comotti in " I poteri dei Massoni e le interrogazioni esistenziali" (1977). 
Io mi chiedo se sono solo questi piccoli misteri di carattere antropo-sociale ad affascinare lo sperduto cittadino abitante delle magmatiche lande occidentali ? E' forse solo la “perdita” teorizzata dal Criscimanni a far si che esistano discipline non scientifiche come il Channeling, la Reincarnazione, la Cristalloterapia, l'Angiologia o la Geologia, e far si che si cerchi un libro di yoga nella sezione "sport" di una libreria ? Ed è sempre lo stesso mistero a far si che si legga tutto Osho o Yogananda senza aver mai spulciato nessuno dei 128 saggi sulla "Gnoseo-ontologia Tomistico Cusanea dell'essere" di San Appocride da Darmastena, o la "Summa dei peccati dell'olfatto in Pentecoste" di San Demetrio lo stilista? Ed è sempre quel mistero che fa si che una studentessa di lettere impieghi in media circa 112 secondi per pronunciare, riempiendosi  la bocca e l'ego, la frase  “ma tu lo conosci Krishnamurti...?”, o forse è solo colpa di Giorgio Armani...



                                                                    attendo le risposte
Arcadio Zauberflote



5 L'INVENZIONE DELLA DISCRIMINATURA CENTRALE


di Jean Marie Vernel-Agropontì

Vi è una certa bassezza d'animo a pretendere che, quando siamo infelici, gli altri si interessino alle nostre disgrazie”, così scriveva Emil Cioran nei suoi quaderni. 
Una frase di buon effetto, con una certa dose di democratica realtà, non scevra da un certo patetismo mitteleuropeo, con una base malinconica da sedicenne in gonnella ed un retro gusto che da lontano ricorda certe meccaniche cristiane. 

Emil Cioran alla biglietteria
del Parco Archeologico di Selinunte -TP-
Emil Cioran è stato un giovine triste, amante dello scarto tra l'anelito al suicido e la volontà di vivere, a lui deve molto la coprofagia creativa di Gianni Morandi, l' esplosione della noia in Enzo Muscarnaci, ma soprattutto a lui e al suo incontro con Céline si deve l'invenzione della capigliatura con scriminatura centrale, o meglio semi centrale.
 Correva l'anno 1953 e l'impresario cinese Jio Wang Sjio organizzava un incontro di box a Marsiglia, al Théâtre du Gymnase, tra l'allora campione Louis Ferdinad Céline, reduce dai quasi vent'anni si successo del Voyage ed Emil Cioran, da poco ripresosi dopo la separazione da Sartre. Una famosa foto di Cartier-Bresson (gelosamente custodita in Vaticano) blocca il momento esatto nel quale un fenomenale e cinico gancio droite di Céline intercetta la mandibola di Cioran, 
 - Ce fut "le moment”- avrebbe detto anni dopo il fotografo. 
Il folto capello del filosofo franco-rumeno si divide in due e si piega lievemente a sinistra creando un'onda, dai più definita "anarchico-creativa", che mai lo lascerà, un'onda che probabilmente cronicizzerà la sua proverbiale insonnia, che nutrirà il suo nichilismo e che sopratutto farà moda tra i barbieri ebrei di Montparnasse prima, e di mezzo mondo dopo.





6 XXIII FESTIVAL DEL REFLUSSO GASTROESOFAGEO


Il Maggio del 1938 non fu solo l'anno in qui Adolfo Hitler si recò in Italia per i pre-accordi del futuro Patto d'acciaio, ma fu anche l'anno nel quale il tenore polacco Mieczyslaw Fogg incise la bellissima Mlodym byc i wiecej nic, fu l'anno che precedette l'invasione tedesca della Polonia, ma soprattutto fu il primo anno nel quale il Festivàl del reflusso Gastroesofageo, tanto caro all'allora ministro della cultura popolare Dino Alfieri nonché al duce, aprì i propri battenti ai paesi stranieri. Elementi apparentemente casuali ma che in comune avranno la sorte di condizionare l'esito della seconda guerra mondiale. Tutto sembra cominciare durante le prove dell'apertura del Festival al teatro Carlo Gesualdo di Avellino, dove Mieczyslaw Fogg ebbe l'onore di dare inizio alla manifestazione con un piccolo spettacolo di musica polacca (spettacolo voluto principalmente dalla Syrena-Electro, casa discografica di Varsavia dietro la quale si celava la potentissima e temibile Allgemeine-SS, il cui progetto era quello di non lasciar trapelare i folli piani della "Grande Germania").


Una foto d'archivio di Araslav Minchocev, fotografo dello stesso enturage di Fogg (deportato e scomparso a Mauthausen) ci mostra un Hitler abbastanza impacciato nel ruolo di ballerina di terza fila durante le prove dello spettacolo di Fogg.
Sarà proprio durante quel pomeriggio che il Furher conoscerà Heidi Milazzo, ballerina di seconda scelta ma testimonial del Festival e portatrice sana di Reflusso Gastroesofageo. Sembra sia stata proprio lei a trasmettere al Cancelliere del Terzo Reich la fastidiosa patologia che negli anni a seguire non lo lascerà più. I referti medici completi di Hitler (1940-1945) ritrovati ad Amburgo nel 2007 sono la prova che la malattia lo accompagnò durante gli anni cruciali della guerra,  e che la perdita di capacità di concentramento, la sua irascibilità (specialmente) degli ultimi mesi, nonchè l'incapacità di comprendere il vero esito della guerra, fossero dovuti all' "esofago di Barret", rara complicanza dovuta al forte reflusso. Sembrerebbe anche che la morte dello stesso sia dovuta ad un overdose di Pinot Meunier e Acetat-Hydrochlorid (CAS 93793-83-0), farmaco col quale tentò di sostituire l'alpha-Phenyl-2-piperidinmethanol-acetat-hydrochlorid, oramai introvabile nella Berlino degli ultimi mesi della vita di Hitler. 

Se il furher non avesse ballato accompagnato dalle note di Mieczyslaw Fogg di fianco alla bella Milazzo forse il male oscuro del Barret non lo avrebbe seguito (e probabilmente consigliato) lungo tutto il corso della penosa guerra, e forse il cancelliere adesso sarebbe ricordato come pessimo pittore naïve con un passato un pò turbolento alle spalle.
Ma queste sono solo supposizioni.

Ettore Himmler-Fruntehrsteiner III.







7 Slavoj Žižek e l'arte lacaniana dei capelli grassi

di Santoro Bonfrebbenner



"c'è un momento nella vita psichica dell'individuo dove lo sguardo dell'infante, tra i 6 et i dieciotto mesi, incrocia quello della madre allo specchio, e se ciò accade la stessa immagine riflessa dell'infante verrà riconosciuta come la propria, ed un percorso di coscienza equilibrato potrà cominciare", questo si legge in un appunto su carta di riso appartenuto a Lacan e datato 1935. Potrebbe anche accadere che in una famiglia slovena una madre tradizionalista di Lubiana intenta a preparare il pranzo per gli ospiti una mattina dell' Aprile 1949 sfiori con un panno intriso di grasso di maiale lo specchio della credenza del povero soggiorno, e quello stesso pomeriggio in quello stesso specchio lo sguardo del suo piccolo non si focalizzi sul riflesso di quello di sua madre ma sulla macchia di grondante grasso di maiale dell'altopiano del Triglav. Questo potrebbe essere accaduto a Slavoj Žižek.
Slavoj Žižek con malditesta.
Da una ricerca dell'I.I.S. (International Statistical Institute) sembrerebbe che nell' 82% delle foto che ritraggono Žižek durante le sue numerosissime conferenze, i capelli del filosofo sloveno siano sempre curiosamente affetti da una gravissima forma di "seborrhea volontarium", le teorie sul perchè di questo curioso accadimento sono già da qualche anno motivo di tesi universitarie e ricerche di diversa natura. La più accreditata vede il motivo in un giovanile errore semantico nella sua infatuazione per le eresie di Jakob Böhme, corrotte dall'erroneo accostamento del cognome del filosofo-teologo-mistico tedesco con un preciso stile di vita, che portò il giovine Slavoy vicino alla vita dissipata di certa Francia di fine ottocento, e ad un accondiscendenza verso una certa qualità di sudiciume esteriore di chiara marca marxista vetero extra parlamentare. Per quanto la quasi comprovata lettura Lacanina dell'acconciatura di Žižek sia la più accreditata, la più esatta mi sembrerebbe pero quella riferibile ad un ulteriore errore di lettura, cioè quello della Heiddegeriana "essenza della verità" (conferenza del 1930 il cui testo Slavoy ha tatuato sulla schiena), dove viene certamente confuso il campo semantico, et di conseguenza il ruolo, del linguaggio ( ove per Heiddeger non è uno strumento manipolabile arbitrariamente, così come non lo sono il tempo, gli enti intramondani, e certa pasticceria del sud Italia) con quello della "capigliatura" secondo la concezione di Ernesto Malacarne il barbiere di origine palermitana di Slavoy Žižek.
Il risultato è la quasi apotropaica non manipolabilità arbitraria del capello, un marca comunque distintiva di uno dei più pesanti filosofi dello star system odierno. Non so altro.

In fede
Santoro Bonfrenbenner






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